"Notte stellata", la morale di due grandiosi artisti

"Due cose riempiono l'animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale dentro di me"

Potremmo descrivere con questa frase del filosofo Immanuel Kant, tratta dalla "Critica della ragion pratica", le due opere che sono in esame in questo post: "La notte stellata" di Vincent van Gogh, e la tela omonima di Edvard Munch. 
I principi che i due vogliono mettere in risalto, infatti, sono molto simili tra loro, ed anelano alla tranquillità, alla quiete che la notte offre loro. Un paesaggio dormiente ed avvolto dalle tenebre, che simboleggia la minaccia continua, della follia come nel caso di van Gogh, e del "crudele destino" - come egli stesso afferma -, di una salute sempre precaria e cagionevole nel caso di Munch.



Sta di fatto che il tormento dei colori scuri, la notte, amica fedele di entrambi, viene squarciata in entrambi i casi da sprazzi di luce, che fanno quasi pensare ad una dimensione onirica, a tratti più marcata, come nel  pittore olandese, mentre nella tela dell'artista norvegese, è più contenuta, se così si può dire. 

Una dimensione che lascia intendere la luce come una liberazione dalle brutture della vita, dall'incomprensione, talvolta dalla certezza di non essere compresi per la propria estrema sensibilità. 



Molti anni sono trascorsi dalla realizzazione di queste opere, ma ancora oggi vi sono persone che vengono emarginate per il loro genio, per la loro capacità di analizzare un mondo che forse non è ancora pronto ad accogliere persone dall'estrema intelligenza, dal valore indiscusso e da una insuperabile sensibilità. 


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